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Ladro di razza: recensione

Ladro di razza: recensione

Redazione Starssystem

Ladro di razza” (Teatro Ghione) porta in scena un’opera dove i momenti di trascinante comicità si alternano a parentesi di pura emozione. “Ladro di razza” è decisamente una commedia intensa, che si ispira alla tradizione del neorealismo cinematografico italiano del dopoguerra e che in modo sorprendente fa divertire con intelligenza, con battute fresche e scoppiettanti e al contempo tocca, con vivida lucidità, le corde dell’anima. Il trio di attori talentuosi (Massimo Dapporto, Blas Roca Rey, Susanna Marcomeni) ha una mimica talmente coinvolgente da suscitare l’ilarità del pubblico, complice anche la loro verace parlata romanesca, che a volte fa ridere di gusto, ed altre, induce alla riflessione. Così, in chiave tragicomica, “Ladro di razza” indaga una pagina storica importante, dove momenti divertenti si alternano alla commozione, regalando allo spettatore tre personaggi difficili da dimenticare. Tito, Oreste e Rachele, sono i protagonisti di questa storia di ingenuità, di fame, di illusioni, di inganni, di risate e di lacrime. L’azione si svolge a Roma. Siamo nel 1943. Un povero truffatore, Tito, esce dal carcere, dopo aver scontato l’ennesima pena, ma non può tornare a casa, perché un usuraio vuole fargli “la festa”. Così, si rifugia nella baracca del suo amico Oreste, che lavora come operaio nelle fornaci, ma ha bisogno di trovare subito dei soldi per domare l’ira dello strozzino. Così, durante un incontro fortuito con una ricca zitella ebrea, Rachele, che vive da sola in un appartamento lussuoso, gli verrà in mente di sedurla, per poi derubarla. Giunti all’alba del 16 ottobre 1943, l’opportunista Tito, però, mostrerà un insolito coraggio che gli conferirà un riscatto da vero uomo. ]]>

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