C’era una volta il Cinema
Quest’anno Hollywood è stata teatro di uno scontro tra i grandi registi in gara agli Oscar circa l’ammissione al concorso di film che non erano stati al cinema. Roma di Alfonso Cuaron è stato distribuito da Netflix direttamente sulla sua piattaforma. Secondo molti, il passaggio sul grande schermo è una sorta di consacrazione per
le pellicole che vogliono essere ammesse nell’Olimpo dei film professionali. Il vero problema è che oggi la sala cinematografica sta diventando sempre meno indispensabile e i film si possono tranquillamente vedere a casa, in tv o online.
Non è un caso che i multisala che registrano i maggiori incassi si trovino nei grandi centri commerciali: si va al cinema cinque, sei volte all’anno, tra lo shopping e il ristorante.
Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui la gente usciva anche tutte le settimane per guardare un film sul grande schermo. Chi scrive non era ancora nato, ma ha sentito i racconti di quell’epoca tante e tante volte da un proiezionista ormai in pensione, che quando parla dei cinema di Milano – un tempo quasi 200 – sembra narrare le gesta di eroi greci. Dagli anni Cinquanta ai Settanta non era così strano riempire anche mille posti tutti i giorni. Non c’erano ancora i multiplex con più di due sale, perché la scelta dei titoli era ben più ridotta di quella attuale. Erano quasi duecento i cinema milanesi: tra i più famosi il Manzoni (1950 – 2006), il Gloria (1928 -2012), l’Alcione (1932 – 1982), il Nazionale (1924 – oggi solo teatro), l’Excelsior(1905 -1999) e l’Odeon (1919, ancora in attività).
Ciascuno di questi e molti altri, erano aperti tutta la settimana e iniziavano la programmazione durante la mattina intorno alle dieci, pero poi finire all’una o alle due di notte. Primo e secondo tempo venivano proietatti in continuazione; finito uno, iniziava l’altro e così fino alla chiusura.
Si pagava un solo biglietto d’ingresso e gli spettatori erano liberi di stare in sala quanto volevano.
Capitava persino che lo stesso film rimanesse in cartellone un anno intero, senza mai essere smontato. È il caso di Ben-Hur, di Via col Vento e dei grandi classici Disney, ma anche degli intramontabili Stanlio e Ollio e Totò. Certo, periodicamente le pellicole 35mm venivano sostituite causa logoramento. Quelle che
sopravvivevano alle grandi sale passavano alle parrocchie, per le cosiddette “seconde visioni”, a uno o due anni di distanza dalla data di uscita. Dietro la Stazione Centrale, in Via Soperga, c’erano tutte le agenzie distributrici di pellicole; oggi ne è rimasta una sola che lavora per tutti. L’operatore, l’uomo che montava e smontava le pellicole dal proiettore, era poeticamente considerato l’ultimo membro della troupe cinematografica: colui che di fatto, mostrava al pubblico il lavoro di registi, attori, produttore e così via.
La crisi del cinema inizia nel 1976 con la nascita della VHS. Con l’aumento del canali televisivi e la successiva trasmissione e registrazione su nastro, è venuto meno il bisogno di uscire. Poco a poco è stato ridotto il numero delle proiezioni. Molti esercenti sono stati costretti a trasformare i loro cinema in sale a luci rosse, perché i film erotici, in quegli anni, non venivano trasmessi in tv e internet era di là da venire. Questa fu una parentesi breve. Nel giro di un paio d’anni dalla conversione, i cinema chiusero. Alcune delle sale più belle vennero divise per raddoppiare la programmazione; altre semplicemente, furono vendute e trasformate in grandi magazzini. Negli anni Ottanta la concorrenza si era notevolmente ridotta a diversi monosala di quartiere riuscirono a continuare l’attività. I film cambiavano una o due volte al mese e la gente poteva godere di un’ampia scelta di titoli, non tanti quanti oggi, ma comunque sufficienti. Dopo vent’anni, con l’arrivo del DVD e della pirateria, la situazione tornò a precipitare, il colpo di grazia arrivò nel 2014, quando le case di distribuzione decisero di non produrre più film in pellicola 35mm. Era la fine di un’epoca. Il proiettore a pellicola, ancora oggi simbolo del cinema, veniva rimpiazzato da quello digitale, il quale offriva la stessa qualità d’immagine e una sicurezza ben superiore, senza contare i chilometri di cellulosa risparmiate. Le spese di ammodernamento arrivavano fino ai centomila euro per sala. Molti essercenti, le cui entrate annue erano ben al di sotto di cifre simile, furono costretti a chiudere i battenti.
Nel 2019 conserviamo il ricordo degli anni d’oro grazie al fil premio Oscar di Giuseppe Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso. Ma soprattutto, c’è ancora chi crede che il cinematografo sia un luogo sacro: un luogo dove incontrarsi e , per un paio d’ore, sognare insieme. Ci stiamo riferendo a due realtà che per qualche miracolo resistono ancora: i cinema di paese – sovvenzionati in larga parte dai Comuni, spesso disposti a ignorare bilanci negativi – e i cinema parrocchiali – tendenzialmente gestiti con genuina passione, da volontari.
By Riccardo Galeazzi