Il banchiere di Milano – Ippolito Edmondo Ferrario
Ippolito Edmondo Ferrario, nasce a Milano dove vive e lavora.
Dopo alcune esperienze giornalistiche inizia a scrivere, per lo più saggi, e per alcuni anni si dedica all’esplorazione e alla divulgazione della cosiddetta Milano sotterranea attraverso libri e incontri sul tema.
Negli ultimi anni si dedica maggiormente alla narrativa, non escludendo qualche incursione nel mondo del fumetto.
Dopo aver letto Il banchiere di Milano ci siamo letteralmente innamorati di Raoul Sforza (meglio conosciuto come il banchiere nero per i suoi trascorsi eversivi) uno dei personaggi più ambigui ed enigmatici del panorama finanziario meneghino nato dalla penna di Ippolito Edmondo Ferrario. Presidente della storica Banca Sforza Mayer, nel corso degli anni è stato al centro di svariati processi e di indagini. Cinico ed eccentrico, amante del lusso e dell’arte, Sforza si divide fra la sua antica dimora milanese nel cuore di Brera e l’amata Bonassola, conducendo una vita lontano dai riflettori.
Ma chi è Il banchiere di Milano ovvero Raoul Sforza?
Lo abbiamo chiesto direttamente a Ippolito Edmondo Ferrario.
Raoul nasce qualche anno fa, dal bisogno di ritornare al noir con un personaggio tutto nuovo, originale, fuori dagli schemi. Volevo cimentarmi in una serie di storie il cui protagonista non dovesse rispondere a nessuno, se non a sé stesso e alla sua coscienza.
Non poteva essere un investigatore in divisa e nemmeno privato, tantomeno una persona qualsiasi che si impegna in indagini personali. Volevo partire da una condizione scomoda, ovvero quella del personaggio negativo, la cui strada, per accattivarsi il lettore, era tutta in salita.
Mi piace fantasticare, prendendo spesso ispirazione da personaggi reali che ho incontrato nella mia attività di biografo, naturalmente plasmandoli sulle mie esigenze.
Di fatti Ippolito Edmondo Ferrario per anni si è occupato di biografie di personaggi che hanno vissuto gli Anni di Piombo, approfondendo determinate situazioni. Contemporaneamente un altro suo cavallo di battaglia sono state le tante storie di italiani che negli anni Sessanta hanno combattuto come mercenari nei conflitti africani. Tutto questo bagaglio di situazioni, non convenzionali, hanno contribuito alla nascita del banchiere… di Milano!
Nel libro Il banchiere di Milano scopriamo la passione di Sforza un piccolo borgo della Liguria. Ma è Bonassola ad aver scelto Sforza o è Sforza ad aver scelto Bonassola?
Bonassola ha scelto me, tanti anni fa e di conseguenza ha scelto il “mio” banchiere Raoul Sforza. Luogo del cuore della mia infanzia dal quale sono stato lontano per decenni, vi sono tornato affettivamente e fisicamente grazie al mio personaggio, seguendo una sorta di richiamo del cuore.
Nel libro Il banchiere di Milano c’è tutto, e tutto ben calibrato, fino alla fine quando mi spiazzi entrando a gamba tesa nel fantasy (non vorrei spoilerare perché a me ad un certo punto mi è sembrato di leggere il finale di un altro libro e non aggiungo altro). Quanto ti diverte creare corto circuiti in noi lettori?
Adoro disorientare il lettore in genere.
Citi un passo del libro che non tutti hanno gradito, ma che dal mio punto di vista era necessario ai fini del personaggio. Forse tra qualche romanzo ritornerò su questo aspetto per approfondirlo meglio. Comunque credo nelle storie non convenzionali nelle quali tutto può accadere, senza nessuna esclusione. Il sovrannaturale è una delle componenti che non mi sento di scartare anche se il romanzo di cui stiamo parlando è un noir, perlomeno secondo una certa divisione in generi.
A proposito di corto circuiti, ti sei chiesto come mai a noi lettori Raoul Sforza piace pur non essendo politicamente corretto?
È una domanda alle quale ho cercato di rispondermi: credo che Raoul piaccia proprio perché, nonostante il suo passato di feroce esponente dell’eversione nera e di attuale ricattatore, abbia dei principi, ferrei, dai quali non si discosta mai. In un mondo di squali nel quale egli si muove, alla fine risulta il personaggio più integerrimo di tutti ed è quasi inevitabile che si stia dalla sua parte.
I diavoli di Bargagli (seconda indagine del banchiere Sforza), anche qui gli omicidi non mancano, ma in questo caso al centro della storia un fatto di cronaca realmente accaduto, quello del mostro di Bargagli.
Se posso, come mai questa scelta e come ti sei documentato?
Sono venuto a conoscenza del caso del mostro di Bargagli per caso, grazie ad un amico che me ne ha parlato. Fino a qual momento non ne sapevo nulla. Documentarsi è stato semplice, il web e soprattutto gli archivi dei giornali dell’epoca abbondano di materiale inerente al caso. Naturalmente il mio romanzo si ispira a quella vicenda che viene però plasmata ai fini della mia narrazione.
Senza spoilerare… mi vuoi dire che finalmente scopriremo cos’è successo a Anna e al bimbo che portava in grembo?
Sì, I diavoli di Bargagli è proprio un libro necessario a far luce su una vicenda estremamente dolorosa della vita del banchiere, una ferita mai rimarginata e che mai si potrà rimarginare. Un viaggio nel dolore personale del banchiere, ma che è fondamentale per conoscere meglio il personaggio dopo il primo romanzo.
Sforza, dopo questo dramma legato al suo passato, non mi sembra un uomo che oggi si innamori facilmente però noto con piacere che ne I diavoli di Bargagli compare Viola…
Sì, Viola nel libro diventa un personaggio importante, sempre accanto al banchiere, sia fisicamente che mentalmente, ma ciò non significa che il banchiere si possa legare definitivamente a qualcuno…
Il banchiere, come detto prima, spiazza per sua natura il lettore, sempre e comunque.
Terminato I diavoli di Bargagli ho pensato: “capitolo chiuso”. Invece ecco nascere Assedio mortale a Milano il libro con una storia più contemporanea visto che affronti il dramma dei migranti. Cosa tratta e cosa ne pensa Sforza della Milano di oggi?
Sforza direbbe che Milano è un verminaio, umano e politico, nel quale, per muoversi, occorrono determinazione, violenza e anche ironia. Doti che sono alla base del personaggio stesso.
Il libro come hai detto parla di immigrazione, tema attualissimo. L’argomento è affrontato da più punti di vista, senza mai cadere nel cliché ai quali la politica e l’informazione spesso ci abituano. Si parla di persone, di storie, di violenza, di macchinazioni, di politica e di sfruttamento degli esseri umani.
Vale la pena leggerlo.
Con Assedio mortale a Milano si chiuderà la parentesi Raoul Sforza?
Certo che no!
Il quarto capitolo I fantasmi del banchiere nero è già nelle librerie e negli store digitali.
I fantasmi del banchiere nero.
Nel suo studio di fondamenta Orseolo viene ritrovato con il cranio sfondato il cadavere del notaio Giangiacomo Ballarin. Il solo sospettato, seppur in contumacia, è Alvise Alberton, truffatore e falsario il quale, durante il periodo della passata Repubblica Sociale Italiana, frequentava i vertici dei ministeri presenti nella città lagunare. Le indagini non portano a nulla e, con la promulgazione dell’amnistia Togliatti, il caso viene definitivamente archiviato. A distanza di più di settant’anni, Mara Sartori, giornalista di cronaca nera, decide di far luce sulla morte del Ballarin il cui nome è legato alla Shoah veneziana e al presunto ruolo di procacciatore di documenti per gli ebrei in fuga. La ricerca della verità si trasforma presto per Mara in un susseguirsi di angosciose scoperte e di colpi di scena che la portano all’inaspettato incontro con il milanese Raoul Sforza. Sforza, una volta giunto a Venezia, si ritroverà ad aiutare la giovane giornalista e nello stesso tempo a ripercorrere un capitolo doloroso e mai svelato della storia della propria famiglia.
Ippolito, per apprezzare il bene, bisogna aver conosciuto il male?
Sì, in un certo senso è vero.
Così come per giungere al lieto fine, nelle storie del banchiere, occorre passare per un bagno di sangue. Questa è la regola dalla quale non mi discosterò mai. Forse!
Domanda cattivella, “ogni scarrafone è bello a mamma soja”, dei tre libri (lasciamo fuori dai giochi I fantasmi del banchiere nero) quale metteresti al primo posto in una tua personale classifica?
I diavoli di Bargagli, il motivo è semplice.
È stato il primo libro che ho costruito più come un giallo che come un noir: il colpevole viene smascherato solo alla fine e credo con una certa sorpresa da parte del lettore, dopo aver seminato naturalmente vari indizi durante la storia.
Confermo!
Quanto c’è di Ippolito in Raoul e quanto di Raoul in Ippolito?
Domanda difficile alla quale possono rispondere solo pochi intimi, i miei amici, le persone che si contano sulle dita di una mano. Se il lettore nutre questa curiosità temo che dovrà conviverci…
Durante la lettura di tutti e tre i libri una play list mi accompagna. Quant’è importante la musica nella tua vita e perché questa tua passione l’hai trasferita a Sforza?
Desideravo creare un banchiere fuori dagli schemi e credo di esserci riuscito per vari aspetti.
La musica è uno di questi, passione che diventa quasi un’ossessione.
Raoul, come me, ama la musica in maniera viscerale e a tal punto che sente la necessità di ascoltarla anche nei momenti in apparenza meno opportuni, naturalmente non per lui. Le storie di Raoul sono come un film e nelle pellicole cinematografiche la colonna sonora è essenziale, elemento narrativo ed emozionale.
Oltre alla musica (per chi non conoscesse, ahimè, gli artisti che citi con le loro bellissime canzoni) cosa vorresti lasciare in noi lettori una volta riposto un tuo libro sullo scaffale della nostra libreria?
Quello che mi auguro è che le storie del banchiere lascino un segno nell’emotività del lettore. Anche sensazioni negative, ma un segno, nel bene e nel male. Questo mi basta in un momento in cui ci sono più scrittori che lettori.
Ultima domanda prima di salutarci.
Da dove nasce la tua passione per il fumetto… e potrebbe nascere un Raoul Sforza Story?
Uno dei primi fumetti lo acquistai proprio a Bonassola, da bambino, nell’edicola di Ugo del Torchio. Correvano i primi anni 80 e divoravo Martin Mystère. Raoul Sforza diventerà presto anche un fumetto. Occorre pazientare ancora qualche mese, ma ci siamo!
www.ippolitoedmondoferrario.it
Intervista di Tito Ciotta