Le relazioni materico esistenziali di Thomas De Falco
Ci sono innesti nuovi e insieme antichi, combinazioni operative sovrapposte in mutua inglobazione: arte e tessitura, per esempio. L’incontro è efficace, il suggerimento avvincente, tutto da… possedere: opportunità e strumento di riconquista d’identità complesse.
Sono molti gli artisti che operano per trame e filati, in un connubio tra arte e abilità tessile, tra intreccio manuale e intrico esistenziale. Fra tutti, un posto di rilievo occupa sicuramente Thomas De Falco che, utilizzando canapa, lino, seta, cotone, ferro, ordisce elaborati incisivi e nobili carichi di esperienze contemporanee quanto ancestrali, di corposa tangibilità quanto di respiro e rapimento. E lo fa attraverso un’interazione di percorsi mentali suggeriti da una profonda consapevolezza, da un tormento raggrumato in altrettanti grumi formali, che non definiscono, assorbono in una sorpresa sensibile: sentimento base per un’etica della riflessione.
Fin dall’inizio, per l’artista, intersecare fibre ha assecondato l’intenzione di palesare dissimulando: filamenti ininterrotti che tuttavia, avviluppandosi, affondano dentro un itinerario intermittente; sono tracciati bivalenti, quasi a “nascondere la complessità e il dolore della vita” dopo averli però rivelati. Questa sorta di antitesi riduce così, paradossalmente, la distanza tra l’evento evocato e la sua rappresentazione e fa della materia sostanza di vita, per riportare in superficie la volontà , le idee, la gioia, la pena, il conflitto, la speranza, il tempo.
Le opere di De Falco – diplomato alla Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano – spaziano dall’arazzo bidimensionale all’arazzo tridimensionale, dalla scultura tessile all’installazione performativa concepita nella dinamica tra persone reali e protesi di refe.
Ogni suo lavoro, passato e presente, sembra originarsi da un cordone ombelicale attorno al quale crescono e si diramano rapprendendosi coaguli superiori, simili a vene, radici, linfa, legami pulsanti di esistenza propria e collettiva. Lacci, nodi e protuberanze che tuttavia dilagano, si evolvono dentro una libertà spaziale, oltreché concettuale. Un dialogo costante tra unione e separazione, tra natura e umanità . Un dialogo nel quale il colore, lungi dall’essere frammento di luce o mera sensazione indotta dal cromatismo, diventa profonda emotività caratterizzata in un atto o in una circostanza, sia storica che raffigurata. “In ogni mia opera, il colore bianco domina sempre ma, nel suo formale candore, cela, rende intime problematiche e tematiche sociali forti, come ad esempio la diversità , il rapporto madre-figlia oppure l’omosessualità .”. Poi, in mezzo al bianco, ecco esplodere il rosso, drammatico fuoco (purificatore o distruttore), sangue, gloria e bellezza, violenza, amore, travaglio costante; o anche, ecco l’attacco serpeggiante del nero, in bilico tra frustrazione e incantamento.
Con grande scioltezza, l’artista passa dalla scultura tessile alla performance, dunque, dagli elementi inanimati ai corpi, che a loro volta allignano e ramificano in escrescenze di cotone, in una sorta di reciprocità comunicante. Allora tutto si connette al tutto, si moltiplica, si contamina, e l’ambiente stesso si declina in un luogo di sconfinamenti che annullano ogni logica misura. Si vedano, delle sue installazioni viventi, il raffinato connubio di segni e passioni, di viluppi materici e momenti umani, espliciti eppure metafisici, ambasciatori di un messaggio alimentato dal silenzio.
I performer, dopo stadi iniziali d’immobilità , arrivano anche a muoversi, stringersi talvolta in abbracci consolatorii che leniscono metaforicamente le tragedie con le quali dobbiamo purtroppo rapportarci quotidianamente. E di fronte a quei corpi allestiti nella risacca struggente di colpe comuni e allarmi ignorati, ascoltiamo l’aura pura dei pensieri, ci arriva la sospensione nervosa e palpitante delle attese, percepiamo un trafelato anelito di pace. Da condividere pienamente.
Sono adunate d’involontari mutanti, una mutazione che pur espandendosi imprigiona, castiga. Sono portatori di precarietà e contrasti, al pari nostro, e al pari nostro sembrano obbligati a vegliare sulle impronte lasciate, a un ripercorrerle anzi, in una somma mai risolta. Con furore e poesia.