Stefano Tacconi e l’arte di parare


E’ stato uno dei portieri più forti della storia del calcio, un autentico simbolo tra i pali. La sua carriera, iniziata a Spoleto e culminata con successi indimenticabili con la Juventus, squadra di cui è stato anche capitano, lo ha reso un’icona. Tuttavia, il 23 aprile 2022, Stefano Tacconi ha dovuto affrontare la sfida più dura della sua vita: un’ischemia cerebrale. Ora, grazie all’amore della moglie Laura Speranza e al supporto dei figli Andrea, Vittoria, Alberto e Virginia, ha trovato la forza per rialzarsi e raccontare la sua esperienza in un libro intitolato “L’arte di parare”.

Stefano, la tua carriera calcistica è stata straordinaria, ma ogni grande viaggio ha un inizio: come è nato il tuo sogno di diventare portiere?
Fin da piccolo ho sempre avuto una passione per il calcio, ma in realtà non ero destinato a fare il portiere. Giocavo con i miei fratelli maggiori, e un giorno, per necessità, mi hanno messo in porta. Da lì è scattato qualcosa: mi piaceva l’idea di essere l’ultimo baluardo, quello che poteva fare la differenza in una frazione di secondo. Da quel momento, ho capito che volevo essere un portiere.

Hai vissuto momenti di gloria con la Nazionale, partecipando a eventi memorabili come il Mondiale del 1990, l’Europeo del 1988 e le Olimpiadi di Seul. Quale di queste esperienze ricordi con più emozione e perché?
Ogni esperienza con la maglia azzurra è unica, ma se devo scegliere un momento speciale, sono le Olimpiadi di Seul. Era un torneo importante, vissuto con un gruppo straordinario e con Zoff come allenatore. Quella qualificazione è stata una tappa fondamentale per me.


Stefano Tacconi – sono un uomo nuovo
Nel 2022 hai affrontato una delle prove più dure della tua vita. Come descriveresti il “prima” e il “dopo” di Stefano Tacconi rispetto a quell’esperienza?
Prima ero un uomo che viveva tutto a cento all’ora, senza pensare troppo alle regole. Ero abituato a correre, sia metaforicamente che fisicamente, senza fermarmi mai. Dopo l’ischemia, invece, sono cambiato profondamente. Ho imparato a prendermi cura di me stesso, a rispettare i limiti e a dare valore a ogni singolo momento. Ora prima di fare qualcosa conto fino a dieci.
Tuo figlio Andrea era con te nel momento più critico e ha avuto una prontezza fondamentale. Come è cambiato il vostro rapporto dopo quel giorno?
Il nostro rapporto si è trasformato in qualcosa di ancora più profondo. Andrea è sempre stato un figlio eccezionale, ma dopo quel giorno ha assunto un ruolo quasi paterno nei miei confronti. Mi controlla, mi sprona a fare attenzione, e mi sta vicino. È come se quel momento ci avesse legato indissolubilmente.


Nei momenti difficili, spesso si scopre chi sono i veri amici. Chi ti è rimasto vicino durante questa sfida?
Ho avuto la fortuna di avere accanto tanti amici, ma quelli che si sono dimostrati davvero presenti sono stati gli ex compagni di calcio. In particolare, Totò Schillaci, che ho sempre considerato il mio figlioccio, è stato un punto di riferimento costante.
Hai deciso di raccontare la tua storia in un libro, “L’arte di parare”. Come è nata questa idea?
L’idea è venuta dalla volontà di condividere la mia esperienza. Ho vissuto un momento che mi ha cambiato completamente e sentivo il bisogno di raccontarlo, non solo per me stesso, ma per aiutare chi sta affrontando difficoltà simili. Volevo trasmettere un messaggio di speranza e dimostrare che, con il giusto supporto, si può ripartire.
Hai una bellissima famiglia numerosa, con tua moglie Laura, e sei anche un ottimo cuoco: quale è la vostra ricetta di casa preferita?
La mia famiglia è tutto per me. Laura, mia moglie, è stata il mio sostegno più grande, insieme ai miei figli. Ciò che ci tiene uniti è il dialogo e la voglia di affrontare tutto insieme, come una squadra. E sì, abbiamo una ricetta che ci rappresenta: le penne alla norcina.

Hai anche un brand di vino. Cosa rappresenta per te questa avventura?
Dieci anni fa, io e Andrea abbiamo deciso di intraprendere questa strada. Il vino per me rappresenta passione, territorio e tradizione. Oggi è Andrea a portare avanti il progetto con una determinazione incredibile, e vedere come cresce mi rende orgoglioso.
Dopo il calcio, sei approdato anche in televisione e hai partecipato a programmi come l’Isola dei Famosi. Che ruolo ha la TV nella tua vita?
La TV è arrivata in un momento in cui cercavo nuove sfide. Mi diverte molto perché mi permette di esprimermi in modi diversi e di mettermi alla prova. Inoltre, è sempre bello ricevere l’affetto del pubblico.
Tra i portieri di oggi, c’è qualcuno in cui ti rivedi?
Mi rivedo in Marco Carnesecchi dell’Atalanta. Ha uno stile di gioco che ricorda il mio.
La fede sembra avere un ruolo importante nella tua vita. Come si è evoluto il tuo rapporto con la spiritualità?
La mia vicinanza alla fede è cresciuta dopo l’ischemia. Prima ero meno attento a questi aspetti, ma dopo ciò che mi è successo, e grazie a mia moglie Laura, mi sono avvicinato molto alla figura di Padre Pio. Durante la mia degenza a San Giovanni Rotondo, ho sentito una forza speciale che mi ha guidato.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi desideri e progetti?
Mi auguro innanzitutto tanta salute, per me e per la mia famiglia. E poi vorrei continuare a coniugare le mie passioni: la cucina, il vino e, perché no, creare nuove esperienze che uniscano gastronomia e cultura enologica.
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