Welcome Back Giovanna D'Arco
La Scala inaugura la stagione con “Giovanna d’Arco” di Giuseppe Verdi, che non viene rappresentata nel teatro meneghino da addirittura 150 anni. Venne messa in scena per la prima volta nel 1845 e la seconda nel 1865 e da allora, fino ad oggi, messa nel dimenticatoio; è difatti per questo che il titolo sembra quasi una novità. Quest’opera è molto amata dai melomani e se viene eseguita di rado è perché richiede grandissimo impegno, sia vocale che scenico. Il cast del prossimo Sant’Ambrogio vede come protagonista la star del momento: Anna Netrebko, la quale ha già affrontato il ruolo a Salisburgo lo scorso anno con esito alterno. Ci saranno Francesco Meli, anch’egli presente alle recite di Salisburgo e lo spagnolo Carlos Alvarez, subentrato al “ baritono” Placido Domingo. Il nuovo allestimento è affidato alla coppia Moshe Leiser e Patrice Caurier, registi belgi amati da Pereira, e non propriamente da chi scrive, così irriverenti da traslocare un’ edizione del Ring di Wagner nella Germania del dopoguerra o una Norma di Bellini ai tempi di Mussolini. La trama dell’opera si svolge a Domrémy, nel 1429, durante la Guerra dei Cento Anni. Carlo VII, re di Francia, intende abdicare in favore del re d’Inghilterra, per porre fine alla guerra. In un sogno la Vergine Maria gli ha ordinato di deporre le sue armi in un bosco. Il bosco è lo stesso in cui si reca a pregare una giovane contadina, Giovanna, alla quale gli angeli hanno predetto che potrà combattere per il suo paese, ma a patto di non accogliere “in petto” nessun “terreno affetto”: Giovanna conquista Carlo prendendo le armi e guidandolo con sè. Il padre della ragazza li segue convinto che la figlia abbia venduto l’anima al demonio per amore del re, ma a quel punto l’esercito inglese è sbaragliato, ma Giovanna (che si accorge di amare Carlo) è confusa e, accettando la dichiarazione d’amore del re, viene oppressa dalle voci dei demoni. Davanti alla cattedrale di Reims, Giacomo accusa Giovanna di stregoneria: la ragazza, consapevole di aver contravvenuto al patto divino, tace e, accusata di stregoneria dalla folla inferocita, viene portata da Giacomo nel campo inglese per essere arsa viva. Nella rocca inglese Giovanna invoca Dio nel delirio precedente il supplizio: Giacomo, capendo il suo errore, la libera e la pulzella scende nuovamente in battaglia portando la Francia ad una nuova vittoria. Ferita a morte muore abbracciando la sua bandiera mentre ode le voci degli spiriti eletti che la guidano in Paradiso. Come descritto egregiamente da Gabriele Cesaretti nel suo blog: “Un personaggio affascinante come Giovanna d’Arco non poteva non attrarre alcune tra le più grandi primedonne del dopoguerra, sebbene l’opera purtroppo sia stata portata in scena pochissime volte: colpa la scarsa popolarità della partitura ma soprattutto colpa anche delle estreme difficoltà di scrittura di una parte splendida ma durissima, in cui tanto la cantante che l’attrice sono messe a dura prova. Essere un’ottima Giovanna D’Arco è, in sintesi, una delle sfide più alte che un soprano possa porre alla propria ambizione d’artista, di cantante e di fraseggiatrice. Ad aprire le danze è Renata Tebaldi, con una storica recita napoletana e nella registrazione RAI effettuata nel 1951 accanto a Carlo Bergonzi e Rolando Panerai: tutti e tre sono colti al massimo della forma e siglano un’esecuzione molto coinvolgente. L’edizione migliore dell’opera appare però quella Emi del 1973, che si pone addirittura tra i vertici dell’intera discografia verdiana per lo slancio della direzione di James Levine e la bravura assoluta di Montserrat Caballé, che fa di Giovanna uno dei suoi capolavori (inimitabile e inimitato il purissimo filo di voce su cui la catalana distende il suo meraviglioso “Oh mia bandiera!” nel finale). Il ruolo della pulzella d’Orléans è stato affrontato con successo ed esiti variabili da varie primedonne: tra le testimonianze live andranno ricordate almeno Katia Ricciarelli (Venezia, 1972), Margaret Price (un live americano degli anni ’80)”. Personalmente trovo di scarsa importanza la prova di un’ inadeguata Mariella Devia nel ruolo, la cui prima, e per fortuna ultima Giovanna è stata affrontata a Genova nel 2001. Nel ruolo di Carlo VII si segnala l’ ottima prova di Plácido Domingo a fianco della Caballé, mentre Giacomo, dopo la straordinaria prova di Sherrill Milnes dell’edizione Emi ricca di fascino e di sentimento, non ha avuto paragoni degni di nota. Si parla già però di rischio sicurezza. Così che il Presidente Mattarella ha annunciato che non sarà presente alla Prima poiché il mattino dopo dovrà presenziare al Giubileo a Roma. Nonostante ciò, il mondo dello spettacolo, quello più ansioso di mettersi in mostra, non mancherà, nonostante tutto e tutti, sicuramente. E’ facile riconoscerli, sono quelli che si fermano ore sotto i flash dei fotografi e che, se intervistati sull’ opera della serata, rispondono sempre e comunque: “Amo l’ opera, la trovo bellissima, vengo spesso alla Scala“. In realtà meno del 10% dei presenti alla prima del 7 dicembre ritornano nel teatro meneghino durante il resto dell’ anno. Molte autorità hanno comunque gentilmente declinato l’invito quest’anno, ed è per questo che, forse, risultano essere ancora reperibili gli ultimi biglietti alla modica cifra di 2400euro. Ma come non ricordare le turbolente Prime del passato? Indenne non passò nessuno. Indimenticabile fu “La Traviata” del ’55 con la Callas, alla quale tirarono addirittura delle verdure al calo del sipario dopo il primo atto; Pavarotti, che dopo la stecca nel famoso “Don Carlo” del 1992 venne ricoperto di fischi, o la Ricciarelli, alla quale non fu permesso nemmeno di terminare un duetto nella “Luisa Miller” dove alcuni la definirono «alla frutta». Ricoperta di insulti maledì il pubblico scaligero: “Dio vi stramaledica!” Quella sera Pippo Baudo, come ciliegina sulla torta, schiaffeggiò pure un loggionista nel dopo-serata. Staremo a vedere quest’anno come se la caveranno ma sono certo che, nonostante tutto, andrà benissimo. Il “competentissimo” pubblico della Prima tributerà applausi ed ovazioni per tutti, non si sa se per la gioia che l’opera sia finita e che quindi il famosissimo risotto alla milanese del Marchesino sarà a disposizione degli affamati avventori o perché gli sia piaciuta davvero, tributando quindi un finale col botto, in senso lato s’intende!
Testo: Francesco Cascione
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