Gigi Saccomandi: Raccontare una storia attraverso la luce
1 Ottobre 2016
Continua il nostro viaggio alla ricerca di quelle figure artistiche che lavorano dietro le quinte e fondamentali per una sempre più attenta ricerca estetica dello spettacolo messo in scena e non solo. Ad esempio: chi è un Light Designer?
Ci vorrebbe un “tomo” per definirlo… A parlare è Gigi Saccomandi classe 1953, Light Designer di fama internazionale. Nel mondo anglosassone la figura del Light Designer è più radicata, nel senso che si sono accorti prima che c’era qualcuno che si occupava della luce, non solo per far vedere quello che accadeva in scena. … in Italia, questa figura, comincia a prendere forma, a mio avviso, con gli spettacoli di Giorgio Strehler – continua Gigi. Strehler usava moltissimo la luce e per questo motivo aveva dei collaboratori che lo aiutavano per raggiungere obiettivi estetici e narrativi. Questi collaboratori erano gli elettricisti? Erano anche elettricisti. Chiaramente dovevano avere delle conoscenze tecniche, ma dovevano avere in sé anche una capacità di approfondimento e di comprensione tale da permettere loro di creare un disegno luci. Di conseguenza, non eseguivano solo le disposizioni date da Strehler. Negli anni questa forma si è determina sempre di più assumendo una precisa figura, quella del Light Designer. Oltre a competenze tecniche, un bravo Light Designer cosa deve avere? Conoscenze drammaturgiche. Sono laureato in discipline dello spettacolo (Dams) all’Università di Bologna con una tesi sull’ illuminotecnica. Mi è servito molto studiare perché mi ha permesso di avere più strumenti per confrontarmi con il regista. Devi conoscere la Storia dell’Arte, la pittura per sapere come operare per illuminare un determinato spettacolo e raggiungere l’obiettivo. Per tornare alla tua domanda iniziale, definire il Light Designer non è semplice perché deve essere una persona con capacità manuali e intellettuali, deve avere una cultura generale e una cultura specifica sul teatro. In più, sarò retorico, ma ti deve piacere come lavoro. Il feeling con il regista è fondamentale? Come in tutti i rapporti tra persone. Se ti trovi bene con un regista, lavori bene, devi stimare un regista per lavorarci bene. Posso dire di aver lavorato con tanti grandi del teatro e diffido dei registi che ti cercano e ti dicano: “voglio una cosa strana”. Cosa vuol dire una cosa strana? Per me strano potrebbe essere camminare scalzo, per te essere una cosa normalissima. Lo strano non c’è, non esiste. Esiste un approccio realistico con le luci, un’immagine che richiami l’arte contemporanea con le luci… questo è il tipo di rapporto che si deve avere con un regista. Famolo strano non è un cazzo! Quando nasce la tua passione per la luce, di conseguenza per il teatro? A me interessava la Storia, ero un appassionato di Storia e di Politica da ragazzo. Sono vecchio, ho vissuto negli anni in cui si sperava di poter cambiare ancora qualcosa. Vivevo da solo e per mantenermi all’Università facevo tanti tipi di lavoretti. Un giorno un amico mi disse che cercavano una persona al Salone Pier Lombardo, oggi Teatro Franco Parenti. Immaginai che cercassero qualcuno per un lavoro tipo; carico e scarico. Entrato in teatro ho detto: “ma qui non si lavora, si gioca. Questo è il paese delle meraviglie” e non sono più uscito. Ci rimasi diversi anni, poi passai al Piccolo Teatro, poi altrove e adesso sono ritornato a “casa”. Fino al 24 febbraio 2016 Teatro Franco Parenti / Via Pier Lombardo 14 – Milano Una casa di bambola di Henrik Ibsen regia di Andrée Ruth Shammah con Filippo Timi, Marina Rocco e la partecipazione di Mariella Valentini e Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Elena Orsini, Paola Senatore Luci di Gigi Saccomandi Tornato a casa ossia al Teatro Franco Parenti, Gigi, non solo lavora per Andrée Ruth Shammah, ma da anni è nato un forte sodalizio artistico con Filippo Timi punta di diamante del Parenti e considerato l’enfant terrible del teatro italiano. Com’è avvenuto il tuo incontro con Timi? Mi ha messo in contatto Andrée Ruth Shammah, siamo andati subito molto d’accordo e abbiamo cominciato a lavorare insieme. Hai fatto bene a citare Filippo. Ti faccio una metafora musicale: se suoni la chitarra classica, suonerai in un certo modo e in un tipo di band, se suoni la chitarra rock, la suonerai in un altro modo e in un altro tipo di band… ma a suonare la chitarra è sempre la stessa persona che suona in due diverse situazioni. Vedi, se io illuminassi gli spettacoli di Timi come ho illuminato gli spettacoli di Castri o come nel caso di Una casa di bambola, non andrebbero bene, striderebbero, non sarebbero omogenee, non sarebbero armoniche. Chi disegna le luci non deve essere un artista puro perché deve produrre un qualcosa che potrebbe vagamente assomigliare all’arte, ma alla fine è una mediazione tra quello che sa fare, quello che si sente di fare e quello che vuole il regista. Una casa di bambola è la storia di una donna alla ricerca prima di tutto di se stessa. Nora (interpretata dalla bravissima Marina Rocco) è una donna-bambola che si accorge di essere prima di tutto un essere umano. Henrik Ibsen, con questo testo, mette in scena l’eterna ricerca della verità, che non può non realizzarsi se non dopo un’affermazione di libertà di fronte alla società. È il dramma del dolore che una tale ricerca comporta nei confronti di noi stessi e degli altri. Un noto critico dell’Avvenire ti ha definito: “il genio della lampada”. È vero. Molto divertente perché per Una casa di bambola, non ha scritto: “belle le luci di Gigi Saccomandi” come spesso succede. Ha scritto che sono il genio della lampada è che io sto alle luci come mano lenta sta alla chitarra. Slowhand, ovvero “mano lenta”, è il soprannome di Eric Clapton. Un grande complimento, che dite? Questo non è perché uno è più bravo o meno bravo – tiene a precisare Gigi – quando sei dentro lo spettacolo ti piace talmente farlo che lo fai perché sei tu che lo vuoi vedere bello. C’è una luce che hai amato di più, di conseguenza lo spettacolo? Come fai? è come dire: qual è il figlio che preferisci? Ci sono stati spettacoli che non mi sono piaciuti, ma la maggior parte degli spettacoli che ho fatto li ho tutti amati. Forse Don Giovanni di Filippo Timi con il quale ho vinto il Premio Maschere. Luci meravigliose. Però se penso che nello stesso periodo hai realizzato le luci di uno spettacolo, se vuoi minore e sotto tono come; Niente, più niente al mondo luci semplicissime ma perfette nella loro semplicità. Ogni spettacolo ha la sua forma d’amore. Se viene bene è perché lo hai amato. Ho amato tantissimo alcuni spettacoli che ho fatto con Massimo Castri, uno spettacolo bellissimo a Salisburgo, spettacoli con Pizzi, con Garella, con Lievi e Ronconi. A Palermo ho fatto uno spettacolo con Harold Pinter persona simpaticissima. Tutti gli spettacoli che ho fatto li ho amati, in questo momento amo moltissimo Una casa di bambola. La luce è una forza emozionale. In uno spettacolo, la luce, ha bisogno di essere guidata senza diventare un’attrice troppo in vista? Assolutamente sì. Se la luce diventa protagonista hai commesso un errore. La luce deve essere giusta per quel momento, per quella data circostanza. Poi a volte è vero, spingi il piede sull’acceleratore, ma solo perché vuoi arrivare ad un certo livello di bellezza estetica, ma l’estetica a volte frega la poetica. La cosa più importante è essere congruo al racconto, puoi anche realizzare un bellissimo tramonto ma se lo inserisci in un contesto che non serve allo spettacolo, hai sbagliato. Una luce, sapientemente usata, potrebbe agire sul subconscio dello spettatore? Assolutamente sì. La gente non se ne accorge però ci crede di più a quello che sta succedendo grazie ad una luce particolare. C’è un disegno luci che avresti voluto realizzare, ma che ti hanno preceduto? Si e no. Se vedo un bel disegno luci fatto da un mio bravo collega probabilmente il disegno luci è bello proprio perché l’ha fatto lui, se cerco di scimmiottare o di copiarlo faccio una cosa che non è mia e perciò sarà falsa non sarà bella. Meglio fare quello che ti viene. Ti svelo una cosa; sto a teatro gli otto decimi della mia vita e i due che avanzano non vado a vedere gli spettacoli degli altri. Vado a teatro, di solito, se sono pagato. Ecco, diciamola così. Un consiglio per un giovane Light Designer? Di non pensare che la soluzione stia nella tecnologia. La soluzione sta nella mente. Prospettive di lavoro per i giovani? In questo periodo i soldi investiti sono sempre meno specie per le scenografie o i costumi, della serie; la scenografia o i costumi dello spettacolo Una casa di bambola non li posso riciclare per lo spettacolo Berretto a sonagli, invece la parte tecnica tipo i proiettori o apparecchi vari… si, possono servire sia per Una casa di bambola che per il Berretto a sonagli. Quindi io vedo un futuro e vedo sempre più attenzione per la luce. C’è un futuro, me lo auguro e lo auguro ai giovani. Cosa vorresti lasciare nello spettatore dopo che ha visto uno spettacolo illuminato da te? Sarebbe sufficiente, che lo spettatore, si rendesse conto che c’è qualcuno che ha pensato alle luci che non sia dato per scontato. Perché gli spettacoli non si illuminano da soli. E noi di StarsSystem ci siamo accorti da tempo che non c’è solo chi disegna i vestiti, non c’è solo chi disegna le scenografie, ma c’è chi come Gigi Saccomandi disegna le luci e grazie alla sua poetica e alla sua abilità riesce a “raccontare”, attraverso la luce che disegna, un gusto estetico di ispirazione pittorica. Perché il teatro è una somma di funzioni. Always.]]>