Alexander McQueen: Lo stilista che volò sul nido del cuculo
17 Maggio 2016
Su Alexander McQueen si è scritto e detto molto, forse troppo.
Il fashion system ha inoltre una incredibile capacità nell’appiattire ciò che è profondo, nel ridicolizzare ciò che è drammatico, e di schernire ciò che non va preso alla leggera. La grandezza di McQueen non sta tanto nell’aver rivoluzionato e inventato allo stesso tempo un mondo a tratti gotico a tratti dark a tratti forse perfino apocalittico. E’ stato un grande perché ha portato in scena gli ultimi, gli afflitti, i disadattati. Ha fondato una casa di cura, non una casa i moda. Ha reso capolavoro la sofferenza, ha reso brillante il pianto. E’ stato l’urlo di chi non poteva parlare, è stato l’udito di chi non sapeva ascoltare. Per questo sono importanti i riferimenti a Ken Kesey e al suo romanzo degno della miglior controcultura americana “One flew over the cuckoo’s nest” – 1962. Egli riteneva non esistessero pazzi, bensì individui rifiutati dal mondo, dalla società. Individui esclusi perché non sufficientemente conformi a stereotipi discutibili di una società prepotente e egoista. Sono entrambi volati sul nido del cuculo. Come ben sapete i cuculi non nidificano, lasciano il proprio uovo nel nido degli altri, e crescono soli. Senza reali figure educative, senza nessuno che risponda alle loro domande. Certe persone, sapete, hanno grandi domande che esigono grandi risposte. E quando ti accorgi che nessuno è in grado di risponderti, giustamente ti chiedi se sono giuste le tue domande. Ma i nostri dubbi siamo noi, noi siamo i nostri dubbi. Niente di più. Esistiamo perché dubitiamo. Ma a volte il peso dell’incomprensione diventa troppo grande da essere sopportato. Ed ecco che viene il tempo di migrare, altrove.]]>