Stella Jean e la moda: “La mia soluzione contro il razzismo”
Di Valeria Oppenheimer
Papà torinese, mamma haitiana, carattere ribelle. Stella Jean è una delle designer di punta del fashion system internazionale. La sua moda valorizza le tradizioni culturali dei popoli di tutto il mondo, attraverso uno stile inconfondibile fatto di armonie e forti contrasti. Dopo aver vinto, nel 2011, il prestigioso concorso “Who is on Next?” organizzato da Altaroma in collaborazione con Vogue Italia, a settembre 2013 Stella Jean ha sfilato come ospite negli spazi dell’Armani/Teatro durante Milano Moda Donna, scelta da Re Giorgio in persona. Oggi i suoi abiti hanno fatto il giro del mondo, sono stati esposti nei musei e indossati da star del calibro Rihanna e Beyoncé.
Quando hai capito di voler fare la designer?
La moda è sempre stata la mia passione, ho iniziato a lavorare in questo settore come indossatrice. Mi sentivo nel posto giusto ma nel ruolo sbagliato, così ho capito che dovevo cambiare qualcosa. Il mio non è mai stato soltanto un obiettivo “estetico”, non volevo solo creare bei vestiti in un mercato che è già saturo, ma volevo usare gli abiti per comunicare.
Qual è l’identità del tuo lavoro?
Il mio obiettivo è quello di raccontare attraverso l’abbigliamento il concetto di métissage, che mi appartiene visceralmente per via delle mie origini e della mia eredità creola. Il percorso non è stato semplice, ho fatto vari tentativi prima di capire davvero quale fosse il messaggio che volevo divulgare attraverso le mie collezioni. Il successo è arrivato quando ho capito che essere me stessa sarebbe stata la mia carta vincente. Ho preso una camicia a righe di mio padre – ho usato proprio le sue per la mia prima collezione! – e l’ho accostata a tessuti di Haiti; l’impatto cromatico che ne ho ricavato è stato fortissimo e ho capito di trovarmi sulla strada giusta. Ho raccontato attraverso i vestiti ciò che più mi apparteneva e mi influenzava dei miei genitori: le loro estetiche, entrambe molto definite, forti, ma in equilibrio perfetto tra loro. Ho scelto stoffe con le stampe esotiche haitiane e le ho usate per realizzare modelli familiari per noi italiani, come la gonna a ruota. Volevo che la mia moda riuscisse ad abbattere ogni distanza e che nessuna delle due culture prevalesse sull’altra. Volevo dimostrare che dosando gli ingredienti il risultato sarebbe stato di armonia pura. Ecco, questa per me è la multiculturalità nella moda.
Collabori dal 2014 con il programma di moda etica delle Nazioni Unite e definisci le tue collezioni “missioni”…
Grazie alle Nazioni Unite ho avuto la possibilità di conoscere culture lontanissime dalla nostra e lavorare con le artigiane di tanti Paesi difficili. I miei viaggi sono vere e proprie missioni; durante i sopralluoghi vengo a contatto con molte donne, ascolto le loro storie e solo attraverso questi incontri così intimi e personali capisco cosa raccontare di ogni Paese una volta tornata nel mio. Spiego loro chi sono e cosa faccio: il mio compito è cercare di capire cosa della loro cultura possa essere portato nella moda italiana. Faccio in modo che, quando queste donne mi affidano i loro ricami, le artigiane italiane con cui collaboro riescano a lavorarli e adattarli ai miei modelli per dar vita alle collezioni… come in un grande laboratorio delle Nazioni. Ho trascorso tanto tempo in zone remote, difficili. Ho ascoltato le donne parlare per ore delle loro tradizioni e competenze artigianali. Io credo che recuperare, “salvare” dall’oblio quelle tradizioni, possa essere un modo per aiutare l’economia locale. Attraverso la moda e contro l’appiattimento estetico, cerco di portare queste donne al tavolo del mercato internazionale. È un percorso che faccio assieme a loro, un passo alla volta, e la sfilata è solo uno step di questo cammino.
In cosa consiste il progetto “Uno, Nessuno & Centomila Km”?
Mi sono ispirata al celebre romanzo di Luigi Pirandello, il mio scrittore preferito, per descrivere il percorso che, tramite il lavoro congiunto e le competenze di artigiani italiani e stranieri, porta alla nascita delle mie collezioni. Questo progetto si divide in tre parti: “Uno”, basta 1 km per rappresentare il territorio italiano, in cui si incontrano il sapere della tradizione e lo sguardo proiettato al futuro. “Nessuno”, zero sono i chilometri necessari al viaggio dentro noi stessi, nella nostra memoria. “Centomila” come i chilometri che percorriamo per spingerci verso le culture di popoli lontani. Ogni collezione nasce attraverso la collaborazione con un artista proveniente, ogni volta, da un’area geografica diversa e la cui storia si intreccia per un tratto con la mia.
Raccontaci la tua collezione SS20.
Per questa collezione sono stata in Pakistan e ho vissuto una delle esperienze più intense della mia vita. Ho collaborato con le donne della comunità Kalash, che vivono in una zona remota, una valle isolata a duemila metri di altezza, al confine con l’Afghanistan. I Kalash sono un’antica popolazione alla quale il governo ha assegnato uno straordinario programma di salvaguardia, protezione e recupero. Si tratta di circa 3000 persone che parlano una lingua ed hanno tradizioni uniche e non completamente decifrate. 1800 donne fanno parte di questa comunità e sono loro a preservarne i ricami, splendidi, realizzati a mano. La mia missione mi ha portato a conoscere queste incredibili donne e a collaborare con loro per portare quei preziosi ricami nel mondo e farli scoprire, per la prima volta, ad un pubblico internazionale attraverso un percorso di empowerment femminile. A guidarmi in questo viaggio è stata una giovane, Karishma Ali, cha a soli 22 anni, partita dal suo villaggio Karimabad e nonostante le difficoltà incontrate, è diventata una campionessa della Nazionale femminile di calcio. Ora questa guerriera, a più di tremila metri di altezza, allena le ragazze, istruisce le madri ed ha fondato il Chitral Women’s Handicraft Center, dove sono stati prodotti molti dei ricami della collezione. Quarantasei donne hanno realizzato più di quattrocento metri di tessuti ricamati a mano, che sono stati successivamente assemblati dalle sarte italiane. La collezione è il risultato di una cooperazione umana straordinaria. Nonostante le migliaia di chilometri di distanza, decine di donne hanno lavorato unite, con lo scopo comune di prendersi cura e preservare un patrimonio culturale globale in via di estinzione.
Tra i tuoi tanti successi c’è anche una collaborazione con Yoox, azienda leader globale nel lusso e nella moda online.
La collaborazione con Yoox ha portato alla creazione di una capsule all’interno della collezione SS20. Quando il progetto è partito, il mio scopo primario era quello di far conoscere al mondo intero il lavoro delle donne Kalash. Avevo bisogno di fiducia prima di ogni altra cosa e lo staff di Yoox in questo è stato straordinario, ha letteralmente gettato il cuore oltre l’ostacolo accettando le mie proposte quasi a scatola chiusa. Quando la capsule in vendita è andata sold out, è stata per tutti una soddisfazione incredibile.
Sei una donna che ha costruito da sola il suo business, hai avuto dei momenti di crisi durante il percorso?
Ho vissuto e vivo continuamente momenti di difficoltà. La forza di noi donne è la flessibilità, la capacità di saper navigare a vista. In quanto donna nera che vive in un Paese come l’Italia ho imparato che non bisogna mai arrendersi davanti ai problemi, non dobbiamo mai sentirci vittime. Non ho mai conosciuto in vita mia una donna che fosse debole, siamo guerriere per natura e non dobbiamo mai dimenticarlo. Durante l’adolescenza ho sofferto molto per via della discriminazione razziale, la moda è stata la mia terapia. Ho iniziato ad avere successo quando ho smesso di piangermi addosso.
Chi è oggi Stella Jean?
È una donna in divenire, una donna in cammino… che non ha nessuna intenzione di fermarsi.