Davide Zongoli
Ciao Davide è davvero un piacere ritrovarti!
E’ un grande piacere anche per me!
Saresti potuto diventare un campione di nuoto e invece sei diventato un artista poliedrico, ballerino, coreografo, acrobata e poledancer. Lo immaginavi da ragazzino?
No, forse no, ma ho sempre sentito, fin da piccolo un forte bisogno di andare oltre i miei limiti fisici. Amavo molto stare in acqua ma, in realtà, il nuoto ho cominciato a farlo per necessità poiché avevo la scoliosi e tra busti e cure varie, il dottore mi ordinò di nuotare. Ma come per tutte le cose che ho scelto d’intraprendere o che hanno scelto me, dovevo eccellere. (ride)
Insomma lo spirito del campione c’era già da ragazzino!
Sì, credo di sì. Poi arrivò per caso la danza, un po’ tardino a dire il vero, avevo già 17 anni. Una mia amica mi chiese di accompagnarla ad una lezione di un corso amatoriale di sera, e alla fine della lezione l’insegnante Antonella Mita, che adesso è anche una mia grande amica, mi suggerì di tornare a vedere i corsi professionali con i ragazzi che studiavano per diventare ballerini, perché riteneva che avessi un certo potenziale. Il giorno dopo ho cominciato a studiare danza classica, moderno e contemporaneo. Poco prima dei miei 18 anni riuscii ad ottenere il mio primo contratto per l’Ivano Festival della Valle d’Itria e anche per un programma musicale di rete4 con Al bano “Una voce nel sole”. Quindi hai scoperto un dono innato? Riuscire ad avere dei risultati in così poco tempo non è da tutti.
Sì (sorride), pare avessi una particolare predisposizione, ero “musicale”, coordinato, insomma predisposto naturalmente.
E quindi hai avuto, fin da subito, esperienze col mondo televisivo e dei professionisti?
Esatto, dopo l’Ivano, ho cominciato subito con la televisione. Il primo fu un programma con Al bano, che si faceva a Bari. Andavo lì ogni giorno da Brindisi dove abitavo, per registrare. Fu una grande emozione sentirmi parte di un gruppo di lavoro così. Conobbi Luca Sabatini (famoso costumista ndr) che si occupava dei costumi con il quale è nato un bellissimo rapporto di stima che dura tuttora, ricordo che mi disse “Sono certo che questa faccia la rivedrò molto presto da qualche parte!” E in effetti fu così? Sì! Perché poi abbiamo fatto assieme la Corrida. Quando ci rivedemmo, mi disse:” Ecco, io lo sapevo che ti avrei rincontrato!” Che differenze ci sono nel mondo sportivo del nuoto e in quello della danza? Nello sport c’è un agonismo sano, vivi lo spirito di squadra, anche se poi alla fine uno vince, però siamo “la squadra” italiana. Il successo di uno è quello di tutti. Nella danza, c’è molto individualismo, nelle scuole di danza si cresce con una mentalità che non ho mai totalmente condiviso. Per quello ho smesso di fare il ballerino, mi sono allontanato dalla danza e ho cominciato a fare l’acrobata. Andiamo per ordine, dopo questo esordio esplosivo e poco più che diciottenne, ti sei trasferito a Roma, giusto? Sì, con due borse di studio mi sono poi trasferito a Roma a studiare e perfezionarmi allo Ials e da Renato Greco. Ho avuto la fortuna che i corsi s’incastrassero e ogni giorno attraversavo la città col motorino con una sola ora di pausa tra uno e l’altro pur di fare entrambi i corsi, è stato faticoso ma molto importante, mi sono impegnato tantissimo perché sentivo che, pur essendo predisposto, avrei dovuto recuperare dieci anni “persi”. Nel frattempo ho fatto anche altri lavoretti in tv per mantenermi, perché all’inizio i miei non mi appoggiavano affatto.
Quindi i tuoi genitori non sono stati favorevoli con le tue scelte?
All’inizio no, perché ho avuto diversi problemi da ragazzino, con la mia città, a scuola, con i compagni per il solo fatto che avessi scelto di fare danza.
Parli di soprusi e bullismo?
Esattamente. Bullismo, ignoranza, sono stato vittima di diverse forme di violenza e mortificazione, ma la cosa che mi ha ferito di più a quell’età fu proprio l’approccio dei docenti, degli insegnanti. Sai, io ero molto bravo a scuola, ma quando cominciai a frequentare le prime lezioni di danza, cominciarono ad abbassarsi immotivatamente i voti e mia madre cominciò a preoccuparsi, così venne a parlare col Preside il quale, senza troppi giri di parole, le disse “suo figlio dovrebbe smettere di fare danza, perché i maschi non fanno danza, così avrà tempo per studiare di più”. Grazie a Dio, i miei genitori sono due persone davvero intelligenti e a quelle parole mia madre sorrise e si congedò. In auto mi rassicurò, “diremo che hai smesso di fare il ballerino e poi invece continuerai a farlo e studiare”. Sai che magicamente i miei voti e il tipo di rapporto sono migliorati? Pur avendo, di fatto, cominciato a studiare di meno! E’ davvero vergognoso! E oggi, a distanza di anni, ora che sei un campione, un professionista, un uomo adulto, se vedessi questo tipo di atteggiamento nei confronti di un ragazzo che, come te, cerca di dare forma ai suoi desideri cosa faresti?
Se vedessi una cosa del genere adesso spaccherei proprio la testa a questi aguzzini. Ora, quando ritorno a Brindisi tutti mi conoscono e mi rispettano, ma non è stato così sempre, c’è il mio sangue ancora in mezzo alla strada, ed è davvero dura per me pensare che certe cose accadono ancora adesso.
Quindi erano soprattutto protettivi, insomma erano titubanti per una sorta di senso di protezione?
Sì anche per un senso di protezione, e poi perché speravano in una carriera da avvocato. Mi iscrissi a Lecce, ma contemporaneamente partecipai ad un’audizione importante con Andrè de la Roche che superai e partii in tournée con la compagnia per cinque mesi. Mi portai dietro appunti e dispense ma era impossibile studiare, per quanto lo volessi fortemente. Ho sempre avuto un forte senso della giustizia, sarei stato un avvocato perfetto (ride). I miei, quando tornai dalla tournée e annunciai loro che avrei voluto continuare a fare il ballerino e lasciare l’Università, non l’hanno presa molto bene, ma d’altronde proprio loro mi hanno cresciuto così, con l’idea che avrei dovuto fare ciò che mi appassionava veramente, ma avrei dovuto farlo col massimo impegno.
Ad un certo punto però hanno dovuto capitolare?
Fu grazie allo spettacolo che vennero a vedere al Ravenna Festival il “Macbeth”, lì compresero che ero molto apprezzato dai colleghi e dai grandi maestri coi quali avevo cominciato a lavorare. Gli si avvicinarono il Maestro Muti, sua moglie Cristina e anche Misha Van Houcke, coreografo della compagnia con cui lavoravo da mesi, per complimentarsi con loro.
Da quel momento in avanti?
Hanno cominciato a seguirmi quasi dappertutto, a Venezia al teatro La Fenice, a Madrid al teatro Real, insomma quando possono vengono! (ride).
Dopo l’esordio televisivo quindi ci è stato un lungo periodo di teatro e tournée nel mondo?
Sì ad un certo punto è stato come ritrovarsi in un vortice, fatto di viaggi continui, di grandi spettacoli e di tanta fatica. Devo anche ringraziare il rispetto che i coreografi coi quali ho lavorato hanno avuto nei miei riguardi, perché sono stati tutti sempre molto disponibili tra di loro, permettendomi quindi di fare più cose contemporaneamente e regalandomi tanta esperienza e indimenticabili emozioni. Cosa ti hanno lasciato questi grandi professionisti?
Molto, moltissimo. Soprattutto Santucci e Gino Landi sono stati i miei maestri. Quando lavoro come coreografo mi rifaccio molto alle idee e al metodo d’insegnamento di Gianni Santucci e la pazienza e l’esigenza della massima professionalità ho imparato ad averla da Landi. Abbiamo ancora oggi un bellissimo rapporto e spero in futuro di riuscire a conciliare gli impegni e tornare a lavorare assieme. L’ultimo spettacolo l’abbiamo fatto in Qatar e ne conservo un fantastico ricordo.
Viaggiare fa parte del tuo lavoro, ma cosa significa per te?
Significa arricchirmi di esperienze, grazie al mio lavoro ho la possibilità di vedere posti che altrimenti non vedrei. Ci sono mete che non sceglieresti per le vacanze, ma grazie alle tournée o ai campionati hai modo di vedere quasi tutto il mondo ed è incredibile il senso di ricchezza che ti lascia viaggiare.
Ad un certo punto cominci a scrivere un nuovo capitolo della tua vita e a confrontarti con nuove sfide, ti allontani dal mondo della danza e…
Sì, intorno ai 25 anni inizia a scarseggiare il lavoro in Italia ed io avevo avuto delle discussioni con qualche coreografo perché, come sai, non sono uno che le manda a dire e, senza presunzione, ho sempre dato e ricevuto molto rispetto dai grandi coi quali ho lavorato. Non tutti però hanno questa qualità, né umanamente né professionalmente e ad un certo punto non ho più voluto lavorare con certa gente. A Roma in quel periodo stavano tenendo delle audizioni per una compagnia di danza acrobatica ed un mio amico ballerino mi suggerisce di parteciparvi. Anche lì superai subito le audizioni, e ho cominciato a studiare “aerea”, cimentandomi con i tessuti, col cerchio e col trapezio. Ero molto portato, non ho mai avuto paura delle altezze, avevo forza ed elasticità assieme. Dopo soli due mesi sono partito per il tour europeo del primo album di Leona Lewis. Sono stati mesi bellissimi, c’erano spettacoli a giorni alterni ed era sempre tutto esaurito. Lo spettacolo cominciava con me sospeso a 15 metri d’altezza avvolto a cocoon nel tessuto che mi lascio cadere in picchiata…
Hai cominciato a fare spettacoli così impegnativi nonostante avessi iniziato da poco tempo questa disciplina?
Già, pensa che quando ho cominciato il tour, in realtà non avevo mai fatto quelle cose; loro mi dicevano “Tu sai farlo questo”? Ed io “Sì sì, tu fammelo vedere una volta” (sorride).
Credo che effettivamente il tuo sia un talento assoluto.
Quello che ti posso dire è che ho certamente il dono dell’apprendimento, non so se sono bravo o no, però mi basta vedere una coreografia una volta e riesco subito a rifarla.
Evidentemente bravo lo sei, visto che poi negli anni a venire i successi oggettivi sono stati molteplici.
Qualcuno diciamo (sorride imbarazzato).
Dai, raccontami come sei arrivato a diventare il campione di poledance.
Ho iniziato a dedicarmi appieno alla danza acrobatica e la gente ha dimenticato che facevo il ballerino. Come spesso accade in Italia, se tu fai questo non puoi più fare quello. Nel 2010 una mia amica del Cirque du Soleil, Giulia Piolanti, venne a Roma per fare uno stage di poledance e m’invitò ad andare a vedere di cosa si trattasse. Pur essendo molto diffidente rispetto alla possibilità di fare certe cose, partecipai comunque anche io a quel workshop ed è stato amore assoluto. Grazie a Titti Tamantini (che ha portato la poledance in Italia) divenuta la mia insegnante, mi appassiono velocemente a questa meravigliosa e faticosissima disciplina. Dopo poco più di un mese Titti mi propose di allenarmi per i campionati, perché credeva che avessi le doti giuste ed è riaffiorato dentro di me lo spirito agonistico tipico dello sport. Entrato nella squadra italiana, ho trovato una vera famiglia, Titti la considero la mia mamma a Roma. Ci si allenava tutti i giorni e dopo un anno ho vinto le competizioni italiane ed europee fino ad arrivare secondo a quelle mondiali. Quindi dopo l’esperienza dei campionati sei tornato in tv in una nuova veste e con una nuova energia?
Sì, partecipando ad “Italia’s got Talent”, al primo anno ho fatto poledance ed il secondo una coreografia con l’elastico. Dopo quella partecipazione ho fatto altri programmi tv come ospite, in Italia e in Germania.
Sei stato tra i primi a portare la poledance in tv, al grande pubblico, poiché prima era conosciuta da un pubblico di nicchia.
Sì esatto, e quest’anno il mio allievo Alessio Bucci ha vinto “Tu sì que vales”. L’ho conosciuto al Mac dove stavo tenendo dei corsi e mi sono riconosciuto molto, sembrava me in versione moro! Ho visto il suo potenziale immediatamente e quindi mi sono offerto di dargli una mano, insegnandogli appunto la poledance. Poco più di un anno dopo, ha cominciato a studiare anche lui con la mia insegnante ed è entrato nella squadra nazionale, vincendo diversi titoli nei campionati fino ad arrivare quarto ai Mondiali. Sono molto orgoglioso di lui!
Cosa ci vuole per riuscire in una disciplina così dura, dove il corpo è lo strumento ma anche la mente è fondamentale?
Grande concentrazione e dedizione. Per farlo a livello sportivo come lo facciamo noi devi proprio volerlo, ci vuole tenacia, caparbietà e sofferenza fisica vera. Come per la ginnastica artistica ma con attrezzi diversi. Devo dire che la gente fa ancora molta confusione, taluni scambiano la poledance con la lapdance, ma non hanno nulla in comune. Ricordo però che quando sono tornato da Maria De Filippi il secondo anno lei mi ha subito riconosciuto come quello della poledance e ho avuto anche l’occasione di supportare Garrison ad Amici.
A distanza di una dozzina d’anni dal tuo esordio, come vedi l’ambiente? Com’è l’approccio dei ragazzi di oggi nei confronti dello spettacolo?
Posso dirti la verità?
Devi!
I ballerini di adesso non studiano. Tanti mancano di mordente. Sono tutti “hip hop”, “stile”, “fashion”, con un fisico devastato, perché non ce n’è uno che si allena, sono tutti pronti ad apparire e pochi pronti ad essere, a fare bene ciò che serve in questo mestiere.
Questo è un mestiere in cui il corpo e la disciplina sono fondamentali. Il tuo è stato forgiato da tanti anni di fatica come si può vedere bene nel servizio che abbiamo realizzato a corredo di quest’intervista, e più recentemente anche apprezzato e immortalato da importanti fotografi. (Sorride imbarazzato)
Sì, questa è un’altra recente novità nella mia vita e mi piace molto. Ma io sono la maledizione dei fotografi (ride). Non sono un modello, non faccio foto di moda anche se ho fatto da testimonial a diverse aziende, perché cercavano un acrobata capace di fare delle pose particolari. Quindi quando realizziamo gli shooting le immagini sono per lo più concettuali, particolari, dove il corpo è funzionale all’ottenimento di un certo tipo di fotografie. Ne sto preparando uno che sarà davvero pazzesco!
Che cosa ti entusiasma davvero Davide, da dove viene tutta questa grinta, questa energia?
Una volta una sensitiva che conosceva la mia mamma le disse : -Tuo figlio è una “fornace di luce”, ha dentro una grande energia – ; ed è così Ale, ho voglia di fare, di lavorare, di esprimermi, di sperimentare, di scaricare l’adrenalina.
E cosa ti spaventa, cosa rifuggi?
La monotonia, faccio questo lavoro perché ne ho bisogno. Ho vissuto tante vite fino ad adesso, da adolescente ero in un modo, poi crescendo un altro, ogni lavoro ti mette a contatto con persone nuove e nuovi modi di vivere la vita e ti aiuta moltissimo a crescere, penso che noi artisti siamo persone per alcuni aspetti più mature, mi piace fare tesoro delle esperienze fatte. Mio papà mi diceva sempre: “Le cose o le fai bene o non farle proprio”. Anche per questa nuova avventura nel mondo dell’immagine e delle foto ho lo stesso approccio, e mi ha permesso anche di fare una campagna mondiale per Giorgio Armani. Com’è arrivata quest’occasione?
E’ stato molto singolare, la mia agenzia mi chiama e mi dice di aver mandato le mie foto ad Armani perché stavano cercando un soggetto biondo, con gli occhi azzurri, fisicato. Avrebbero voluto un ballerino perché dovevano realizzare delle cose più particolari per la linea sportiva. Io ero a Ibiza che lavoravo all’Ushuaia e mi chiedono di realizzare un video di presentazione nel quale mi stretcho, faccio delle pose, ecc. Eravamo in 50 da tutto il mondo, non ci credevo molto, ma alla fine sono stato scelto io (ride).
Che rapporto hai con la moda, con lo stile?
A dire il vero sono un po’ fuori dal circuito della moda, certo ho avuto anche delle belle occasioni, compreso finire su Vogue Italia in un servizio che celebrava i talenti italiani, ma diciamo che il tutto si ferma lì.
Quindi nella vita di tutti i giorni vesti da sportivo?
Si, semplice e comodo, da vero sportivo 🙂
Credi che la bellezza abbia avuto un ruolo nei successi che hai ottenuto?
Sì assolutamente, però non è merito mio la faccia che ho (ride).
No, forse no, però è merito tuo averne fatto il giusto uso.
Diciamo che sono più cose che hanno giocato a mio favore, essere nato biondo, con gli occhi azzurri, un bel fisico e il giusto temperamento. Comunque sì la faccia giusta aiuta! (ride)
Aiuta anche nella vita di tutti i giorni?
Uhmmm sì, a volte capita di essere aiutati altre volte invece il preconcetto arriva prima del sorriso.
E come affronti il pregiudizio?
Sorridendo!
Che rapporto hai con l’amicizia?
Ho tanti conoscenti e pochissimi amici e sono anche sparsi per il mondo. Sono i miei veri confidenti, abbiamo affinità e ci siamo scelti, supportandoci l’un con l’altro nel corso di questi anni. Ma io resto un tipo abbastanza solitario, nel mio ultimo anno a Milano per esempio ho frequentato davvero poche persone.
Adesso sei in procinto di partire per la Spagna. Cosa credi abbia di positivo l’Italia e cosa invece andrebbe migliorato per un artista e per i giovani che vogliono fare spettacolo?
Mancano le possibilità di esprimersi, soprattutto per i giovani, e di farlo bene. La “crisi” è stato il capro espiatorio degli ultimi anni e ha fatto capitolare tutto. Come mai hai scelto di andare in Spagna?
Ho scoperto la Spagna di recente, durante i tre mesi dell’ultimo spettacolo cui ho partecipato. Mi piace la qualità della vita, l’allegria della gente, in questo momento sento il bisogno di nuovi stimoli.
Come e dove ti vedi tra 15 anni?
Oddio non ne ho proprio idea, non ci penso mai (ride).
Non ci pensi mai? Che rapporto hai col tempo che passa?
Relativo, nel senso che ho una percezione del tempo tutta mia. Ho 33 anni e lo so, ma nella sostanza mi sento come quando ne avevo 25, mi sento comunque un ragazzino. Ripeto, ho una visione assolutamente relativa del tempo, ma oggi comincio a comprendere che il tempo passa e pure in fretta!
Sei soddisfatto del bilancio?
Sì, posso dire di essere stato fortunato, perché a volte è anche questione di fortuna, scegliere la cosa giusta, farne una piuttosto che un’altra.
Credi ci sia per ciascuno un percorso già stabilito o si è davvero artefici del proprio destino?
Stabilito proprio no, però la verità è che certa gente può fare delle cose e certa gente no. Il segreto sta nel capire cosa si sa fare e impegnarsi davvero per farlo al meglio. Però è anche vero che senza una buona educazione si fanno molti sbagli e arrivare a certi risultati è sempre più difficile.
Siamo nell’era della condivisione globale e selvaggia di chiunque e di qualunque aspetto della vita sui vari social, sono nate nuove figure professionali e nuove occasioni attraverso internet. Tu sei anche molto seguito, che tipo di rapporto hai con questi mezzi?
Mi diverto moltissimo. Uso instagram come la mia galleria personale, nella quale però non metto quasi mai foto di vita privata, ma solo legate al mio lavoro.
E’ una questione di pudore, una scelta precisa?
Bè sì sono dell’avviso che la vita privata debba rimanere tale, e i social li uso più che altro come un mezzo di lavoro. La mia vita privata la tengo in camera mia, custodita molto gelosamente. So che mi seguono in molti, mi fa molto piacere e cerco sempre di rispondere a tutti, però è anche vero che i social falsano molto sia la percezione che le persone hanno di sé, sia quella che gli altri hanno di te. In questo momento sei innamorato?
Per lungo tempo mi sono totalmente chiuso rispetto ai sentimenti per una delusione vissuta qualche anno fa e, in fondo, è stata una fortuna perché ho potuto dedicarmi con tutto me stesso al lavoro. Pian piano sto cominciando a cambiare un po’ le priorità, ma col lavoro che faccio è davvero difficile potersi dedicare ad una persona. Chissà che Madrid non mi dia anche questa possibilità! (sorride).
Qual è il tuo motto Davide?
Anche questa passerà!
Photos: GDLart ]]>