Alessandra Baldereschi
Siate irrazionali, siate liberi
Il “Comprendere e accordarsi con il proprio equilibrio”. La ricetta di Alessandra Baldereschi per bilanciare corpo e mente appare semplice, come le sue creazioni. Nata nel 1975, la designer italiana vanta una serie di esperienze importanti, da una residenza studio in Giappone a collaborazioni con alcune delle aziende di spicco del suo settore. Ambasciatrice del design italiano nel mondo, Alessandra – con le sue collezioni – ci trasporta in un giardino segreto, a metà tra il reale e il fiabesco, dove la parola d’ordine è “felicità”.
Come ti sei avvicinata a questo mestiere?
Ho iniziato la mia carriera con un’installazione per la galleria Dilmos, una collezione realizzata con foglie vere e muschio immerse nel lattice (Bosco, ndr). Dopo questa prima esperienza in serie limitata ho voluto confrontarmi con la produzione industriale, in particolare desideravo lavorare con la luce e promuovere una lampada progettata durante la residenza in Giappone. In porcellana bisquit, una lastra bianca che solo una volta accesa, la mia creazione rivela la sagoma di un’abat-jour. Ho proposto il progetto alla Fabbian illuminazione e dopo averlo esposto al Salone Satellite, l’azienda ha deciso di produrre la lampada. Sono seguiti altri progetti per la stessa azienda e così è iniziata una proficua collaborazione durata diversi anni.
Quale impatto ha avuto l’esperienza in Giappone sulla tua idea di design?
In Giappone ho imparato che l’estetica è importante quanto la funzione e che la forza può essere espressa con gesti lievi. È un luogo dove tutto ciò che ti circonda è un’espressione di cura e di grazia. Nel Libro d’ombra, Tanizaki descrive molto bene la cultura giapponese: “Chi ne sfiori qualche lembo […] avrà l’impressione che tutto sia orientato da una preoccupazione dominante, che non ha a che fare né con la religione, né con la filosofia, né tanto meno con la storia ma con qualcos’altro che mi azzardo a chiamare: un’ecologia della sensibilità”. Sono stata molto fortunata a ricevere questa opportunità. Un’esperienza indimenticabile che mi ha insegnato l’attenzione al dettaglio, la ricerca per la bellezza, per la gioia e la poesia nelle cose di tutti i giorni.
Ti ispiri molto alla natura, con una approccio che ha del fiabesco. A cosa si deve questa scelta?
Sì, la natura è per me una presenza rassicurante, familiare, qualcosa di ingenito e necessario. È come un “segno” capace di conferire all’oggetto personalità senza però diventare invadente o aggressivo. Deve contenere un’ispirazione ma senza eccessi. Ad esempio, nel caso del paravento Painting per De Castelli il paesaggio è solo suggerito, così ognuno può interpretarlo con la sua immaginazione. La narrazione nasce dalla ricerca sulla parte irrazionale e sensibile: origini dell’oggetto o di quella tipologia, storie antiche, credenze popolari, racconti e ricordi d’infanzia diventano materiale utilizzato nel processo creativo. Lavorando con aspetti emozionali o con la memoria, la storia si crea spontaneamente.
Cosa significa per te il design e quale impatto credi posso avere su una persona?
Il design può far vivere meglio sia per la funzione che per l’impressione. Il valore dell’idea di un oggetto, pensare a come è stato realizzato, da chi e in quale parte del mondo, tutto questo si connota subito di un’anima, si scalda e diviene più umano.
Hai raccontato di creare prodotti che abbiano uno spirito completo, vecchio e giovane al tempo stesso. Quale rappresenta meglio questa filosofia?
La collezione di arredi per esterni “Fildefer” perché ha un’immagine immediatamente familiare. Il tondino di ferro è usato come se fosse la grafite di una matita, un disegno di curve articolate che riproduce l’effetto della classica imbottitura capitonné. Ho utilizzato la trama del capitonnè e l’ho trasformata in una struttura in metallo. È come un deja-vù: qualcosa che conosci insieme a qualcosa di completamente inedito. La decorazione tridimensionale dona alla collezione un aspetto vagamente surreale e crea un effetto di immaterialità e leggerezza nello spazio.
Lavori in tanti campi diversi, dal settore dell’illuminazione a quello della moda. C’è uno di questi mondi che senti particolarmente vicino?
Non ho un settore preferito, mi colpisce tutto ciò che è capace di entrare in contatto con la mia parte sensibile. Ogni volta che affronto un nuovo progetto, oltre alla funzione dell’oggetto, cerco di rendere visibile anche la parte emotiva.
Le tue creazioni sono come dei “piccoli amici”. Che emozioni vuoi dare con i tuoi prodotti?
Vorrei ricordare la gioia di vivere.
In una società che va di fretta e spesso dimentica di fermarsi e trovare un equilibrio, può il design offrire una prospettiva nuova?
Certamente, il design è un linguaggio e comunica continuamente. Dovremmo educare, attraverso gli oggetti, a valori più autentici.
Quale prodotto altrui ti sarebbe piaciuto avere creato e quale vorresti creare in un futuro?
Mi piacerebbe aver progettato la lampada Giogali di Mangiarotti per Fontana Arte: una vera invenzione con il vetro, molto scenografica e personalizzabile. In futuro vorrei progettare una cucina.
Il tuo carattere quanto incide sulle tue creazioni?
Mi piace la nostalgia, infatti mi ispirano molto gli oggetti del passato, i ricordi della mia infanzia, le case in cui ho vissuto, le storie lette e raccontate.
Allontanandoci un attimo dall’universo “design”, cosa ti dà maggiore ispirazione?
Sono sempre accompagnata da un libro, la lettura mi rilassa, mi insegna e mi ispira.
Riesci mai a staccare dal tuo lavoro per raggiungere un equilibrio corpo e mente?
Sì. Per farlo ho un piccolo terrazzo dove posso coltivare fiori, piante e pensare a nuove idee immersa nel verde.
BY Mariella Baroli