Perché studiare moda in Italia è così complicato?
I misteri della moda sono infiniti, c’è chi si chiede da chi o cosa siano dettate le tendenze, chi ricerca su google il significato di “boho“ e chi si domanda se i digital dresses rappresenteranno davvero il futuro della moda, o ancora quali figure professionali effettivamente esistono e contribuiscono a strutturare il fashion system. Ma la questione alla base è il perché la moda, ancora oggi, viene affiancata solo all’idea di lusso e allure irraggiungibile, trascurandone la rilevanza culturale.
È risaputo che la moda è da sempre considerata il settore elitario per eccellenza dove esclusività e segretezza ne sono il suo fascino, e questo si conferma anche in tema di istruzione. L’accesso culturale viene permesso a pochi, lasciando la formazione in mano a università private con rette che precludono una frequentazione meritocratica più a larga scala. La moda per l’Italia rappresenta uno dei segmenti produttivi trainanti, eppure non viene ancora considerato come effettivo settore di formazione e valida identità professionale. La moda in ambito istruttivo perde di significato e credibilità, e sono tantissimi i casi di giovani che, dall’esterno, vedono sminuito il loro percorso di studi.
La disinformazione è una conseguenza della mancanza generale di considerare la moda come un importante elemento culturale nella società italiana, e ne è la prova la fragilità dei pochi istituti pubblici e statali esistenti oggi, incapaci di reggere il confronto con le realtà private. Numerosi sono brand e designer che si stanno muovendo in direzione dell’inclusività, dalla scelta di testimonial non convenzionali ai rivoluzionari casting sulle passerelle 2020 (una necessità visto il propagarsi del Covid-19). In tutta Italia, lo scorso 24 e 25 ottobre, ha avuto luogo una nuova edizione di Apritimoda, iniziativa che permette a turisti e cittadini di scoprire e conoscere da vicino la realtà di differenti maison, fabbriche e aziende di moda che hanno aperto le loro porte mostrando gli ambienti dove creatività, talento e competenze del Made in Italy prendono vita ogni giorno.
E se la tendenza ad estendere a più persone possibile l’accesso al privilegiato mondo della moda sembra farsi sempre più concreta, ci si augura che in questo percorso presto ne possa far parte anche il sistema formativo, ampliando dibattiti e iniziative dedicate. Soprattutto in questo difficile periodo storico, scuole e università potrebbero approfittare dell’avanzamento digitale per diffondere materiale e informazioni su temi riguardanti la moda con workshop, podcast e webinar da seguire online non solo per gli studenti già iscritti, ma allargando la partecipazione all’esterno per uno scambio formativo di idee, progetti e visioni creative o ancora lezioni aperte in diretta sui propri profili Instagram. E se cinema e teatri chiudono, perché non iniziare a trasmettere documentari e fashion film sulle nostre reti televisive? La moda ha una ricchezza di risorse e un tale patrimonio culturale che non può e non deve essere a beneficio di una categoria così ristretta. Bisogna riflettere sulla parola condivisione, per far sì che l’avvicinamento alla cultura della moda sia sempre meno farraginosa e sempre più accessibile, dando il giusto valore alla preziosa arte del creare che tutti i paesi a livello mondiale ci riconoscono.
Testo Giulia Giacone